Strabone, che i Tarantini, temendo i Sanniti vicini, volean persuader loro con proficua adulazione ch’erano entrambi d’una medesima stirpe laconia, non fa più maraviglia, che gli Eubei della Campania1, od altri Greci italici, s’ingegnassero a un modo di ammansare con queste lusingherie l’animo dei Romani, che di conquista in conquista andavano più ogni ora avvicinandosi sotto l’armi alle loro imbelli colonie. I prossimi Siciliani, come Callia e Timeo, non favoleggiavano nulla meno di Roma: ma la piena d’ogni maniera di finzioni e di fole derivò dalla larga vena de’ mitografi alessandrini o di quella scuola. Già per avanti abbiam manifestato il nostro concetto, che sì fatte storie di greci e troiani siensi fatte propriamente nazionali nel Lazio non prima che le aquile romane s’inoltrassero nella bassa Italia, donde venne a Roma colla greca letteratura più divolgato il grido di cotali leggende elleniche2. Non erano i Romani un popolo originario al pari degli altri italici nè potevano quindi darsi vanto di grande anzianità, come ne facean pompa e Tivoli3 e Preneste ed altre città latine. Sì che il grosso intelletto dei Romani, mescolanza di genti d’ogni
- ↑ Quel Dionisio di Calcide citato da Dionisio (i. 82) ed Euforione di Calcide, ugual favolatore delle cose romane avevano per avventura usato essi stessi coi loro connazionali di Cuma, o d’altra colonia euboica di quel lido.
- ↑ V. pag. 39.
- ↑ Tiburtes quoque originem multo ante urbem Romam haberant. Plin. xvi. 44