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CAPO III.
Dell'antica forma d'istoria:
alterazioni di essa e favole poetiche
Al primo vedere il cielo dove un popolo respira si può giudicare se desso meriti una storia. Nè dubbiamente gli Etruschi, i Sanniti ed i Volsci, più che altri gloriosi, ebbero i loro istorici. Tali scritture nulla di meno perirono, nè alcun frammento originale è fino a noi pervenuto. Ma chi non sa che le lettere seguono la sorte degl’imperi? E qual meraviglia che spenta una volta con la dominazione italica anche la viva favella, per cedere il luogo a quella del Lazio, siensi perduti irreparabilmente con essa i monumenti scritti della nazione.
Gli annali ed i commentarj urbani, dettati dai pontefici, furono le prime e sole testimonianze della storia pubblica. Privi d’eloquenza, come gli annali massimi romani, erano sì fatti libri tanto più autentici, in quanto che per istituzione civile facean certa fede delle magistrature annuali, degli atti pubblici, e d’ogni altra memoria del comune. Al tempo di Varrone si leggevano tuttora annali o storie etrusche, scritte nell’ottavo secolo della nazione: epoca che può corrispondere circa la fine del quarto secolo di Roma. Nè solamente i popoli maggiori, come una sola Roma, avevano suoi fasti, ma i meno potenti, se non ancora