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82 | CAPO V. |
altro che una satirica antitesi del poeta elegiaco si è quel pungente motto, che l’Umbro non cedesse in nulla per uso di crapule al suo scorretto vicino1. Per lo contrario una copiosa faticante e industre popolazione, ben ripartita su di un fruttuoso territorio, mantenne per secoli con opere campestri e studio di pastorizia la prosperità dell’intera nazione. A tal che Plinio2 nomina quarantasette comunità o popoli, tra se distinti, che sussistevano al suo tempo nell’interno dell’Umbria, oltre a dodici affatto spenti. E parte di loro, secondo l’antico costume villesco, abitavano in cantoni rurali3; parte in grosse terre4. Tuttavolta la grande fertilità de’ luoghi se accrebbe gli agi, infievolì il valore: tanto che, sebbene i Sarsinati facessero da per se sì fiera resistenza a Roma, che d’essi soli ha trionfato due volte, pure in comune gli Umbri per lo più inviluppati nelle rischiose sorti degli Etruschi, perderono prima, sforzati dall’armi de’ Galli, il ricco paese inchiuso tra i monti e la marina adriatica, dove si stabilirono i Senoni; di poi, nel quinto secolo, vinti tutti insieme in una sola battaglia, essi furono quindi innanzi assoggettati per sempre alla signoria dei Romani.