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CAPO V. | 71 |
dai paesani stessi dell’Italia meridionale. L’ingrandimento di quelle genti seguì, secondo il computo di Filisto1, fors’a ottant’ anni avanti la guerra di Troja: in che s’accorda il siciliano con Ellanico. Tucidide, al contrario, la pone due secoli dopo2. Ma commossa già in tempi sì remoti grandissima parte d’Italia sino all’estrema Calabria per universal discorrimento e tumulto di popoli, successero nuovi travagli pe’ violenti assalitori, che avean tolto a’ Siculi stato e signoria.
Nessun fatto istorico dell’antichità è più avverato del passaggio dei Siculi italici nella Sicilia, tutto che riferito dagli scrittori con molta varietà di circostanze. E sopra questo fatto han pure i mitologi personificato, alla lor maniera poetica, un Italo, un Siculo e un Morgete, alternativamente regi di Sicilia, di Enotria o d’Italia; e in oltre tessuto la narrativa strana della fuga di Siculo da Roma per recarsi al re italiano Morgete3. Ma quantunque i Siculi fossero in effetto scacciati per la sola forza, l’uscita loro della penisola dovette succedere di necessità a grosse bande in tempi diversi; nè tutti tragittarono il mare ugualmente. Quando i Locresi, nel primo secolo di Roma, se ne vennero erranti al capo Zefirio, vi ritrovarono là presso il monte Esope stanziati dei Siculi4: e fino al tempo