intorno all’anno 480, Callia l’istorico d’Agatocle, Filisto genero del primo Dionisio, Alcimo1, Atana, e non pochi altri Siciliani, i quali più o men diffusamente trattarono nelle loro storie di cose italiche. E Timeo specialmente, comechè tanto credulo ed inesatto favellatore, e sì alto riprovato dai suoi 2, ebbe non ostante in sorte d’essere più che ogni altri, e più di frequente seguitato dai susseguenti narratori. Talune città, come Cuma, ebbero storie sue proprie3. Ma se dai frammenti che ancor si conservano di quelle giudicar dobbiamo o della veracità, o della critica de’ loro autori, è pur forza dire, che lungi dal rischiarare le nostre origini con sinceri documenti, pregiudicarono anzi grandemente alla verità istorica con la pubblicazione d’ogni sorta di favole e novelle4. Il bisogno di piacere a un popolo già tanto esaltato dai racconti d’Esiodo e d’Omero, aveva impresso alla prosa narrativa una forma al tutto poetica, che ottenne plauso dal volgo e dispregio dai sapienti5. Nè lo stesso Eca-
- ↑ Ἰταλικὸν portava per titolo il suo libro. Athen. X. II.
- ↑ Derisoriamente detto γραοσυλλέκτρια. Un libro intero degli errori di Timeo scrisse Istro discepolo di Callimaco. Athen. VI. 20. Polibio lo vitupera anch’esso fortemente, e il taccia più volte con giustissima ragione d’eccessiva ignoranza de’ luoghi e delle cose italiche. Hist. passim, et in Excerpt. Vat. T. II. p. 380 seqq. ed. Majo
- ↑ Fest. v. Romam.
- ↑ Fest. l.c.; Dionys. I. 82. et al.
- ↑ Dionigi di Alicarnasso De Thucyd. 5. ; Strabo. xi. pag. 350. Son noti i lamenti di Tucidide stesso nel suo proemio.