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Però l’ufficio dell’analitica sarebbe puramente istromentale, nel senso che essa limiterebbesi a constatare la legge dei fenomeni, lasciando ad altre discipline la spiegazione dell’esistenza della legge stessa e le conseguenze che se ne possono dedurre per le applicazioni di pratica utilità. Per sè stessa ella non è ancora nè la morale, nè altra disciplina di quelle chiamate immediatamente a dirigere la condotta degli uomini e della società; è un semplice studio preparatorio, una cognizione base di fatto, che viene a reclamare il proprio posto distinto nell’enciclopedia scientifica, in virtù del grande principio della divisione del lavoro, e a motivo della forte preparazione che essa esige, sia pel retto maneggio dello stromento analitico, sia anzi tutto per l’intelligenza e la valutazione dei fatti a cui lo stromento stesso devesi applicare.

E qui toccando del metodo, e mirando a sdebitare la analitica da ogni appunto che le fu o le potesse esser mosso, l’autore la vorrebbe separata in modo assoluto dal calcolo delle probabilità, ed in ispecie dalle applicazioni che di questo calcolo si è tentato fare nel campo morale. Con tale intendimento egli tratteggia succintamente la storia di esso calcolo dal punto di vista delle sue applicazioni, mostrandone i primi, comunque informi esordj e i primi tentativi rudimentari molto al di là delle celebri ricerche di Pascal e Fermat (1654), nei grandi geometri nostri Tartaglia e Cardano, nonchè in Peverone da Cuneo, e poi in Galileo e in Francia nel Buteo.1 Ed anzi una qualche teoria delle sorti avrebbe esistito assai prima, in quella che potrebbesi dire la didascalica dei giuochi; e ne reca in prova un vecchio

  1. Logistica quae et arithmetica vulgo dicitur. Lione, 1659.