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158 Sonetti del 1832

L’AMMALATA.

     Te penzi io1 fórze,2 in ner chiamatte magra,
Che ccojjoni la fiera, che ccojjoni?3
Batteme sodo:4 nun risponne agra:
Cosa te senti? hai male a li rognoni?5

     Tiènghi mai, pe’ ffurtuna,6 li tinconi?
Hai, che sso..., la renella? hai la polagra?
Questa ggià nnò, perch’è mmalatia sagra
De sti servi-de-ddio nostri padroni.7

     Dimme cos’hai, eppoi te fo un rigalo:
Ch’io so gguarì co’ un ritornello solo,
Come ch’er paternostro abbògni malo.

     Senti che ggran virtù! “Fior de fasciolo,8
Spósa,9 lo so pperché mme fai sto calo:
T’ha ffatto male er zugo de scetròlo.„10

Roma, 22 novembre 1832.

  1. Questa specie di sintassi è molto in uso fra la plebe di Roma, che a regolarla si dovebbe dire: Pensi tu forse che io, nel chiamarti magra, coglioni ecc.
  2. Pron. Con la o chiusa e con la z aspra: “forse.„
  3. Modo proverbiale, e ripetizione usuale di verbo in una frase. [Minchionare, corbellar la fiera, si dice anche in Toscana.]
  4. Stammi in tuono.
  5. Arnioni.
  6. Per caso.
  7. [Perchè si crede che la podagra venga a chi mangia cibi troppo squisiti, e specialmente troppo pollame.]
  8. Questo è il ritornello [stornello], specie di breve canto, o quasi epigramma, che principiando col nome di un fiore, rinchiuso quasi sempre in un verso quinario, scioglie poscia il pensiero in due endecasillabi, rimati tutti e tre i versi a bisticcio. Talora il primo verso può essere endecasillabo anch’esso, e allora richiude sempre la benedizione del fiore; per esempio: Io benedico il fiore di fasciolo, — Spósa lo so ecc. — Ecco l’unica poesia che può veramente attribuirsi alla plebe romana. In un accademia letteraria di Roma, un accademico disse la sera del venerdì santo:

    Fiore di noce,
    Il povero mio cuor non ha più pace
    Oggi ch’è morto il Redentore in croce.

  9. Pron. Con la o chiusa e la s sibilante. Il nome di spósa si dà a qualunque stato di donne. [V. però la nota 1 del sonetto: La lavannara ecc., 14 magg. 43.]
  10. Sugo di cetriuolo: equivoco di ecc.