Pagina:Sonetti romaneschi VI.djvu/104

94 Sonetti del 1832

EPPOI?

     Séguita a ffà sta vita, Zzaccheria:
Fréghete l’orbo1 co’ ste tu’ donnacce:
La dimenica a mmessa nun annacce:2
Immriàchete3 sempre all’ostaria.

     Strapazza er nome de Ggesummaria:
Giùchete er core,4 intòsta a parolacce.5
Tu tte penzi6 che Ccristo nun ce sia,
E llui te sta a ssegnà ttutte le cacce.7

     Va’, ccontinuva a vvive8 in ner peccato,
Fra ccarte e ddonne, fra bestemmie e vvino:
Ma ar capezzale9 quer ch’è stato è stato.

     C’è ppoco ar bervedé,10 ssor figurino;
E cquanno Cristo er culo l’ha vvortato,11
Vall’a rripìjja allora p’ er cudino.12

Roma, 20 novembre 1831.

  1. Fregarsi l’orbo: darsi alla cieca alle carnalità.
  2. Non andarci.
  3. Ubbriàcati.
  4. Giuòcati tutto.
  5. Rincara con parolacce; ostinati a dir parole oscene ed empie.
  6. Ti pensi: ti vai figurando.
  7. Segnar le cacce: notare i falli. Metafora presa dal giuoco di palla.
  8. Vivere.
  9. Al punto di morte.
  10. Al belveder c’è poco: è vicino il successo. Belvedere è una parte del Vaticano. [Cfr in questo volume la nota 1 del sonetto: Ar bervedé ecc., 4 ott. 30.]
  11. Voltare il culo, le spalle.
  12. Vallo a ripigliare allora pel codino: richiamalo indietro, se puoi.