Pagina:Sonetti romaneschi IV.djvu/258

248 Sonetti del 1835

PIJJA SÙ E RROSICA.1

     Ma gguardate che ppàtina!2 oh vva’3 er nano
Che bbatte amaro4 e vvò mmostrà li denti!
Fijjo, annate5 a mmostralli ar ciarlatano,
Che vve sciàpprichi6 er bàrzimo e l’inguenti.

     Se pò vvede un felònomo7 ppiù strano?
Me s’è infortito8 er zor gneggnè.9 Accidenti
Che vvespa! che ddragone! che vvurcano!
Eh, ssi ccreschi10 un po’ ppiù, ssai che ddiventi!

     Che staggione! le purce11 hanno la tosse!12
Ebbè, ssor ggruggno color de patate,
Ce le volémo fà ste guance rosse?

     Er giurà è da bbriccone, ma tte ggiuro
Ch’io mommó ddo de piccio13 a ddu’ manciate
De stabbio, t’òpro bbocca, e tte l’atturo.

26 agosto 1835.

  1. [Piglia sù e roditi, o, per dirla con Dante, “Consuma dentro te con la tua rabbia.„]
  2. Quale aria!
  3. [Troncamento di varda, che s’usa spesso per guarda.]
  4. [Che la mastica male. E forse la frase proviene da quel battere i denti e la lungua, che si fa per rabbia, come se si sentisse un sapore amaro.]
  5. Andate.
  6. Vi ci applichi.
  7. Si può vedere un fenomeno.
  8. Mi si è inasprito. [E si dice, come in Toscana, del vino, quando inacetisce.]
  9. [Voce onomatopeica, indicante persona che parla lemme lemme e con uggiosa sfibratezza. Qui, per contrapposto all’infortito, richiama l’idea del dolce dolce, del mellifluo. E tutta la frase è un piccolo capolavoro.]
  10. Se cresci.
  11. Le pulci.
  12. [Si dice contro i piccoli e i deboli d’ogni specie, quando pretendono di farla da adulti e da forti.]
  13. Di piglio.