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Sonetti del 1835 | 149 |
del Vaticano, di cui l’avean fatto custode! e l’architetto Barbèri, quello che aveva disfatto la scalinata del Campidoglio, per le dilapidazioni che avea commesse. La scalinata è stata rimessa al posto. Bravo sor Ctesifonte!„]
LI TESORIERI.
Tra ttanti tesorieri, padron Titta,
Ch’hanno in bocca l’onore e lo sparaggno,
Povere casse! le vedo e le piaggno;
E nnun ze sa a cchi ddàjje la man dritta.
Qualunque che ne viè, cqui annamo ar baggno
Pe’ le dojje1 e la Cammera è ppiù gguitta.2
Nun ciamanca3 pell’urtima sconfitta,
Ch’a la zecca sce4 bbattino lo staggno.
’Ggni tesoriere caccia fora un banno
Pieno de mari e mmonti; e intanto, amico,
Chi jj’avanza, riscòde5 anno penanno.6
Lòro soli so’ cquelli ar fin der gioco
Che ffanno goffo,7 p’er proverbio antico
Che pparla de la lésca8 accant’ar foco.9
31 marzo 1835.
- ↑ Andare al bagno per le doglie: cercar bene e trovar peggio.
- ↑ In senso di povera. [Cammera: la Reverenda Camera Apostolica, cioè l’erario, o, più largamente, il Ministero delle Finanze.]
- ↑ Non ci manca.
- ↑ Ci.
- ↑ Riscuote.
- ↑ Anno per anno: modo equivoco popolare, consistente nel giuoco della parola penando, che dalla plebe si pronunzia penanno.
- ↑ Far goffo: tirar tutto.
- ↑ Dell’esca. [V. la nota 8 del sonetto: L’avaro (1), 13 sett. 35.]
- ↑ [Non bisogna metter mai l’esca (o la paglia) accanto al foco.]