Pagina:Sonetti romaneschi II.djvu/163


Sonetti del 1832 153

LA MILORDARÌA.1

     Ecco perchè mm’ha ffatto un po’ la fessa,2
La prima vorta che llei m’ha vveduto:
Ero vestito da bbaron futtuto,3
Co’ la ggiacchetta che nnun zente messa.4

     Lasseme tu pperò cche mme sii messa
La camisciola nova de velluto:5
Famme dà ’n’allisciata co’ lo sputo,
E ddoppo sentirai che ccallalessa!6

     Le femmine se sa cche ’gna ppijjalle7
Co’ cquer po’ de tantin de pulizzia;
E allora de turchine ècchele ggialle.

     Damme tempo a sta Pasqua Bbefania8
Che mme levi sti scenci da le spalle,
E vvederai che la pasciòcca9 è mmia.

Roma, 27 novembre 1832.

  1. Astratto di milordo, derivante dall’inglese mylord, e significativo di eleganza nel vestire.
  2. La sguaiata.
  3. In vestito assai dimesso, anzi indecente.
  4. Abito da giorno feriale.
  5. [La camisciola era una giacchettina corta corta, che arrivava appena alla cintola, e che un tempo (press’a poco fino al 1847) tutti i popolani di Roma portavano, buttata per lo più sulle spalle, con una fascia di vivo colore ai fianchi, e i calzoni a campana, stretti al ginocchio e larghi da piedi, e la tuba di rat musqué color caffè e latte con pelo lungo e sempre arruffato apposta. Ora poi andata affatto in disuso la vera camisciola, il nome è rimasto a significare giacchetta in generale.]
  6. Udirai che strepito di avvenimenti, o che colpo.
  7. [Sia sa che] bisogna pigliarle.
  8. Pasqua Epifania. V. il sonetto... [Er Zanatòto ecc., 13 dic. 32, nota 3].
  9. Bella donna e rotondetta.