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Sonetti del 1831 | 199 |
ER CUCCHIERE DE GRINZA.1
(2.)
Er c.... che vv’arrabbi! A ssan Ghitano,2
So’3 vvent’anni che bbatto la cassetta:
E nnun tienévo un pelo a la bborzetta,
Che ttata4 me metté la frusta in mano.
Ma ssai tu, a Rroma, a Nnapoli, a Mmilano,
Quanti cucchieri ho ffatti stà a la fetta?5
Sti bbanchieri6 strillaveno vennetta
Riccojjenno li ferri7 da lontano.
Ho gguidate parijje io co’ la vosce8
Ch’averebbeno, a un dì,9 ttramonto er zole;10
Cavalli da fà ffà sseggni de crosce!11
E ssò arrivato co’ le bbrijje sole
A pportamme12 da mé ssedisci fròsce!13
Duncue famo,14 per dio, poche parole.
In legno, da Morrovalle a Tolentino, |
- ↑ Di vaglia.
- ↑ Gaetano.
- ↑ Sono.
- ↑ Mio padre. [Dal lat. tata.]
- ↑ Ho tenuti in suggezione. [Cfr. la nota 14 del sonetto: In acqua ecc., 4 ott. 30.]
- ↑ Cocchieri mal destri.
- ↑ Raccorre i ferri, nel gergo volgare vale: “rimanere molto indietro nel corso.„
- ↑ Col solo soccorso de la voce.
- ↑ Per modo di dire.
- ↑ Tramontato il sole. Cavallo che tramonta il sole, cioè: “focoso e velocissimo.„
- ↑ Cavalli da sbigottire.
- ↑ A portarmi.
- ↑ Sedici froge: otto cavalli.
- ↑ Facciamo.