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174 Sonetti del 1831


ER SERVITOR-DE-PIAZZA CIOVÌLE.[1]

     Lei sappi, si vvò véderle,[2] che cquelle
Indóve el vostro cane-còlso[3] abbaglia,[4]
Tutte cuperte di stole[5] de paglia,
Suono[6] le stufe delle Capandelle.[7]

     Eh! sti abbagni da noi vanno a le stelle!
Gente o di garbo, o nnobbile, o bbirbaglia,
Bardassarìa,[8] omminità, o vecchiaglia
Vònno tutti mettérce la sua pelle.

     Chi ha ccallo..., dico caldo, di staggione,
O un caldo a un piede, o acqualche occhiopullino,[9]
Capa[10] o la capandella o el capandone.[11]

     La meno folla spendano un carlino[12]
Per quelle chiuse: ma le ppiù pperzone
A lo sbaraglio[13] impiegheno un lustrino.[14]

Roma, 20 ottobre 1831.


  1. Civile.
  2. [V. qui sotto e da piedi al sonetto seguente le Analogie.]
  3. Còrso.
  4. Abbaia.
  5. [Store: stoie.]
  6. Sono.
  7. Capannelle: bagni nel Tevere.
  8. Ragazzaglia.
  9. [O qualche ecc. L’occhio pollino è un callo con centro nero come occhio di pollo. A Firenze si chiama “occhio di pernice;„ e manca ai vocabolari, compreso il Rigutini-Fanfani.]
  10. [Sceglie.]
  11. [Per ripararsi dal sole, o per non farsi pestare i calli.]
  12. [Sette baiocchi e mezzo; circa quaranta centesimi de’ nostri.]
  13. [All’aperto e mescolate insieme come si sia.]
  14. Moneta d’argento da cinque baiocchi: un grosso.

ANALOGIE.

Se non si dice Non si può dire
prendérle, ma prènderle vedérle, ma véderle
porzo, ma polso còrso, ma còlso
raja, ma raglia abbaja, ma abbaglia
véderci, ma vedérci métterci, ma mettérci