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Sonetti del 1830 73


L’ADUCAZZIONE.

     Fijjo, nun ribbartà1 mmai tata tua:2
Abbada a tté, nnun te fà mmette sotto.3
Si cquarchiduno te viè a ddà un cazzotto,4
4Lì ccallo callo5 tu ddàjjene dua.

     Si ppoi quarcantro porcaccio da ua6
Te sce fascessi7 un po’ de predicotto,
Dijje: “De ste raggione io mé ne fótto:
8Iggnuno penzi8 a li fattacci sua.„9

     Quanno ggiuchi un bucale a mmóra, o a bboccia,10
Bbevi fijjo: e a sta ggente bbuggiarona
Nu’ ggnene fà rrestà11 mmanco una goccia.

     12D’esse12 cristiano è ppuro13 cosa bbona:
Pe’ cquesto14 hai da portà ssempre in zaccoccia
Er cortello arrotato e la corona.

Roma, 14 settembre 1830.

  1. Ribaltare, in senso attivo: “ismentire, rinegare, far torto.„
  2. Tuo padre.
  3. Non ti far soperchiare.
  4. Ti viene a dare un pugno.
  5. Caldo caldo: immediatamente.
  6. Porco da uva. [Qui aveva aggiunto, ma poi le cancellò, queste parole: “Nome ingiurioso senza etimologia.„ — Cfr. la nota 42 del sonetto: Er gioco ecc., 22 ag. 30.]
  7. Ti ci facesse.
  8. [Variante popolare: Iggnuno badi.]
  9. Ognuno pensi ai fattacci tuoi.
  10. Alla mora o a boccia. [Alle bocce. — Var. pop.: Si ggiuchi un mezzo a mora, oppuro a boccia. — Mezzo, per antonomasia: “mezzo boccale;„ cioè un litro abbondante; poichè il boccale conteneva un poco più di due litri.]
  11. Non fargliene restare.
  12. D’essere.
  13. Pure.
  14. Perciò.