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la rivoluzione del 1848 185


quartieri dove era vietato leggere ogni carta, vietato parlare, vietato vedere cittadini: tutte queste cose li aspreggiavano, l’irritavano, li tenevano come mastini a la catena.

In quei giorni di marzo ecco rivoluzione a Vienna e fuga del ministro Metternich: sorge Milano e combatte gloriosamente per cinque giornate e scaccia gli austriaci; sorgono le cittá lombarde, sorge Venezia a la voce di Daniele Manin, e fa uscire lo straniero, sorgono Modena e Parma; Carlo Alberto re di Piemonte, leva la bandiera italiana, ed entra con un esercito in Lombardia: rivoluzione in Ungheria, in Boemia, in Baviera, in Sassonia, nel Wurtemberg, a Berlino, a Posen, in tutta la Germania: l’Europa si apre ed arde come un immenso vulcano. Anche oggi dopo tanti anni a ricordare quei tanti miracoli politici che cominciarono in Palermo il 12 gennaio, sento che il cuore mi palpita piú forte, e dico come dicevo allora: «Non è caso cotesto che muove nello stesso tempo tanti popoli d’Europa dalla Sicilia al Jutland; ma è un lavorío antico e nascosto che si è fatto nella coscienza di questi popoli che sofferivano gli stessi mali. Tornerá a niente tutto questo? Non è possibile: è fuoco che nasce di dentro, sono fatti necessari che nascono dalla coscienza. L’Europa si rinnova: avrá travagli, ma si rinnova certamente». Allora parve sonata la grande ora del riscatto italiano: non vi fu gioia piú pura, speranza piú lieta, concorso di casi piú felice. Il nostro popolo sentí quasi per istinto che in Lombardia si decideva della libertá e della vita di tutti gl’Italiani, che il primo e piú sacro dovere di tutti era quello di prendere le armi e correre a scacciare lo straniero. Se saremo concordi e saremo tutti, chi ci resisterá?

Alcuni corsero al palazzo dell’ambasciatore austriaco, tolsero l’abborrito stemma dell’aquila, lo ruppero, lo bruciarono tra le grida di viva Italia, morte all’Austria. Biasimerei queste ire, ma ricordo i soldati austriaci frustare i carbonari, fustigare le donne nude, infilare i bambini a le baionette, e gridare «Porca italiana»; le scuso queste ire, e le biasimo soltanto perché si volsero sopra uno stemma.