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50 | scritti di renato serra |
c’è qualche cosa che è fuor di posto, fuor di tono, qualche cosa di oscuro, che vorrebbe giungere alla pienezza dell’espressione, e non può. Manca la grazia e il dono divino. Anche se il traduttore è uomo di garbo e d’abilità grande (provate a vedere Heine nella traduzione francese delle liriche, a cui lavorò egli stesso; ovvero Goethe, o i pezzi lirici di Shakespeare, o quale altro lirico vogliate, antico o moderno, in prosa italiana), il lavoro non è mai felice; quel che era luminoso, leggero, vivace divien greve e opaco. Quel che era fervore lirico, movimento inesprimibile di immagini e di suoni, ragione intima o musicale della poesia, viene meno alla traduzione: o resta solo, in prosa, come una stonatura; come un’accensione a freddo, uno sfarzo di parole e frasi ricercate, che non hanno più ragion d’essere; e la noia è grande di quelle pose enfatiche e ispirate, a cui l’effetto non risponde mai.
Ora molte volte mi son chiesto se Beltramelli non scriva per avventura le cose sue prima in bellissimi versi, d’una lingua ch’io non conosco; e poi le volti o le faccia voltare, in prosa italiana; qualche volta bene, altre volte mediocremente, più spesso molto male.
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Bene o male, è sempre una traduzione; che riesce per eccellenza inadeguata. L’anima dello scrittore traluce come in uno specchio torbido.
La dovizia dei vocaboli è grande, copiosa, eletta; ma non ha qualità espressiva propria. Pare che il traduttore li abbia sostituiti un poco