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6 | scritti di renato serra |
riescono poetiche; i pezzi in cui lo scrittore non appare — e all’occasione egli provvede a non farlo apparire, togliendo perfino la firma di lui, e ponendo titoli, dichiarando, sottolineando a modo suo — il motivo, il fatto, è come nudo; pezzi popolari dunque o anonimi, canti greci, brettoni, parabole, allegorie, leggende; la Chanson de Roland, in una versione che la rende anche più popolare ingenua trasognata che il vero non sia, meglio che l’Orlando Furioso. Se glie ne chiedessero il perchè, credo direbbe che ivi la materia epica è più pura.
Ma dopo i tratti epici e storici viene una raccolta di pensieri, affetti, ironie, anche esse staccate dal loro autore; infine quadri e suoni, scelti con cura speciale a esprimere la particolarità poetica delle cose, delle stagioni, delle ore, della natura. Rispetto alle descrizioni usate delle antologie, queste s’avrebbero a chiamare impressioni; ma per il Pascoli ogni oggetto pare che abbia un senso poetico fisso, come una idea platonica, che può essere rivelato solo in un modo e da una certa parola. Egli prende da un naturalista toscano i ritratti dei nostri uccelli campagnuoli, ma anche codesto non esce dal suo genere, poichè un uccello, col suo nome toscano, osservato sul vero, è per lui una di quelle cose essenzialmente poetiche. Ma cose poetiche, dello stesso ordine, sono le sensazioni; e accanto alla sterpazzolina e alla vigna abbandonata si trova l’infinito, e il canto notturno della domenica. Così l’angoscia di fanciullo insonne, che è nel Leopardi, come l’uccellino della macchia, sono per il Pascoli oggetti comuni a tutti gli uomini; se non che al volgo sfugge il nome di essi, il poeta lo dice.