Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
398 | scritti di renato serra |
lini, che ha avuto dei momenti di serietà e di autorità più matura nelle sue osservazioni del vero, o per un Panzini che ha scritto qua e là, nel suo turbamento, tre o quattro paginette di una nudità e di una dolcezza pura, quanti altri che sono rimasti inferiori a sè stessi, fuor di tono, fuor di posto! Ma, lasciando stare gli episodi particolari, nessuna sorpresa. La polemica della guerra — la guerra, insomma — ha cambiato i gruppi, non le fisionomie nè le persone. Son rimasti tali e quali, in fondo: nè meglio nè peggio. Sono unite adesso, e si divideranno domani, secondo le diversità che il consenso e la cooperazione di un momento non può cancellare.
Questo non piace. Si vorrebbe che fra i compagni di un’ora e di una passione restasse qualche cosa di comune in eterno. E non è possibile. Ognuno deve tornare al suo cammino, al suo passato, al suo peccato.
Sempre lo stesso ritornello: la guerra non cambia niente. Non migliora, non redime, non cancella; per sè sola. Non fa miracoli. Non paga i debiti, non lava i peccati. In questo mondo, che non conosce più la grazia.
Il cuore dura fatica ad ammetterlo. Vorremmo che quelli che hanno faticato, sofferto, resistito per una causa che è sempre santa, quando fa soffrire, uscissero dalla prova come quasi da un lavacro: più puri, tutti. E quelli che muoiono, almeno quelli, che fossero ingranditi, santificati: senza macchia e senza colpa.
E poi no. Nè il sacrificio nè la morte aggiungono nulla a una vita, a un’opera, a un’eredità. Il lavoro che uno ha compiuto resta quello che era. Mancheremmo al rispetto che è dovuto al-