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le lettere | 333 |
turista; libro pieno di difetti e di ambizione e di cattivo gusto, destinato anche a piacer meno dei romanzi, di cui non ha le attrattive banali; ma con uno spirito e una bravura di tocco e una novità di fantasia che è un piacere seguire attraverso pagine di cui parecchie sono riuscite male o pesanti, ma qualcuna è leggera come una strofe che non si è curata di esser poesia fino all’ultimo; e ride e stride così stranamente!
Son pagine che possono far pensare, per la fantasia e anche per quel certo decoro letterario di effetto lievemente caricato ironico, al Panzini; se non che nel Panzini è altra gentilezza e maturità.
Il Panzini è quasi il solo, oggi, artista schietto: non si dice che sia grandissimo, ma è della famiglia dei grandi. Lavora anche lui per il nostro mercato letterario, press’a poco come gli altri, in apparenza; è uscito a mano a mano da quella ombra mezzana in cui era rimasto con le prime cose, e si trova oramai in prima luce, pur senza rumore e senza spicco soverchio, che non è da lui; ma i giornali e le riviste lo cercano, il pubblico lo legge, e la critica lo ha esaminato con serietà. Si direbbe anzi che si sia piegato un po’ verso il pubblico; lasciando da parte quella forma di libro personale, che ci ha dato fin qui il suo capolavoro, la Lanterna, e limitandosi alle novelle di tipo più corrente, come sono nelle ultime due raccolte. Ma non è vero affatto. Insieme con le cose comuni altre son venute fuori, personalissime anche nella forma, come quel curioso bozzetto di Santippe, che sembra un piccolo viaggio fra di fantasia e di ozio letterario per l’antichità, e ha invece momenti di lirismo fiorito e di attualità così inquieta; e qual-