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le lettere | 321 |
d’amore e di sfondo letterario monumentale (D’Annunzio — Lys rouge — Barrès); romanzo naturalista e regionale (con varietà di problemi politici e religiosi); romanzo mondano, che è una novella tirata avanti per trecento pagine.
Avremmo finito. Manca un cenno solo; degli scrittori. Perchè ci sono anche loro. Ce n’è dei vecchi e dei giovani, dei buoni e dei cattivi; dei mediocri e dei grandi: più forse che non si creda.
Qualcuno è lontano, in luogo glorioso da cui non lo vorremo disturbare. Verga: passano gli anni e la sua figura non diminuisce; il maestro del verismo si perde, ma lo scrittore grandeggia.
Voltandosi indietro, come per salutare, ci vien fatto di rivedere anche altri: una figura più mezzana, cara alla nostra fanciullezza, in cacciatora di fustagno, e colla pipa in bocca, un viso un po’ invecchiato, una brunitura di sole e di campagna, e un riflesso deliziosamente toscano, bonario e arguto nel riso e negli occhi sempre vivi; Fucini, che ha scritto delle cosette sentimentali e comuni con una vivacità di macchiaiuolo e una limpidezza di artista. E poi la figura onesta di Farina.
E Capuana, che continua a scrivere con una prontezza vegeta e giovanile; scrive cose che non aggiungono molto ai primi volumi (Homo ecc.), che resteranno come un episodio di quel che si disse verismo: era il tentativo artistico di Verga, ripreso con molto meno di forza fantastica e lirica, ma snodato e sveltito nella tecnica, per quella facilità di narratore nato, che è il dono di Capuana, e che si sente ancora schietta in questi volumi: non si staccano dagli altri soliti (Pirandello) per qualità di realismo o di arte singolare, anzi si accostano alla maniera comune e non sempre alla migliore; ma son raccontati bene.