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Il nome ch’io ho scritto in capo a queste pagine non è certo di un ignoto; e pochi saranno, io credo, che non si ricordino d’averlo incontrato qualche volta con piacere nelle pagine di un periodico.

Ma nè anche si può dire che sia d’uno scrittore famoso; di quelli che hanno una fisonomia propria, ben rilevata e stampata nella niente di tutti.

Egli vive in una sorta di penombra, dalla quale pare che non si sia mai curato di uscire. Nè io pretenderò di recarlo in piena luce, su queste pagine destinate anch’esse a una ombra discreta.

Soltanto, poichè si tratta di un romagnolo e di uno scrittore che io amo molto e crederei degno di ogni fortuna, ne dirò qualche cosa; non con intenzione di saggio criticamente compiuto e preciso, ma come si parlerebbe d’un amico; quando si volesse presentarlo, invitare altri a far la sua conoscenza. Del resto, diciamolo pur subito, in tutta l’opera sua quel che v’ha più simpatico è proprio lui, Alfredo Panzini.

Egli è dunque, e prima di tutto, un romagnolo. È nato, per dir vero, a Senigallia, ma la