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74 | scritti di renato serra |
duramente in verde e nero del Lloyd di Trieste 1852, e par che domini con la mole grassa e bonaria una fila di piccoli tomi dalla copertina oscura che sa di seminario o di Venezia del ’700; più in là un’aldina, col dorso di pergamena rifilata e lucente, non disdegna, per sua cortesia, la vicinanza di certe traditrici edizioni napoletane vanamente corrette, a penna e tutte gonfie dei quinterni scuciti e scomposti; i volumetti del rosso Diamante brillano un po’ troppo piccini fra gli elzeviri consunti di venticinque anni fa; e nell’ultimo ordine una serie di Danti e di Petrarca, di molte età e di molti formati, tomi scompagnati, quaderni stazzonati dall’abitudine di portarli in tasca, una edizione che contentò per un pezzo sbattuta fastidiosamente dietro la fila e un’altra, che per sè non val meglio ma oggi piace, posata di traverso al di sopra, ci rappresenta con varietà pittoresca il desiderio ancora irresoluto del testo definitivo e gli ondeggiamenti insieme e le mutazioni del nostro studio e del gusto.
L’occhio scorre su quelle file e si ferma a riconoscere e a ricordare; dai margini stazzonati e sfregiati si leva un susurro confuso. Sono le ore e le piccole avventure del nostro passato silenzioso e mediocre; lasciamolo nella sua pace. Ninno si potrebbe giovare di esso, fuor che una nostalgia alla quale non è tempo oggi.
Oggi pensiamo alla biblioteca nuova, e al diritto che essa può accampare per arricchire o sostituire la vecchia. Non si tratta di uno di quei soliti ospiti, portati dall’occasione e raccolti dalla fortuna di uno sguardo e di un animo incerto nei suoi errori; siamo di fronte a una collezione compiuta, valente di ragioni proprie, che cercano ricetto meglio nella intelligenza che negli scaffali.