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CAPITOLO I

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eloquenza e pedanteria.



Egli è sì gran tempo, ch’io vo’ promettendo di raccontarvi le cose mie, che oggi, dacchè in buon punto ci troviam radunati per favellare non solamente di materie scientifiche, ma sì anco di gaie, e per condirle di piacevoli fandonie, mi son pure risolto di mantener la parola.

Fabrizio Veientone1 ci ha sinora con molta finezza parlato dei difetti della religione, e manifestato come i sacerdoti con mentito furore di profezia isvelino sfacciatamente di quei misterj, che essi medesimi per lo più non intendono. Ma forse che i declamatori non son pur essi d’altra specie di furore agitati, allor che gridano: io queste ferite per la libertà pubblica riportai, quest’occhio ho perduto per voi: datemi una scorta che a’ miei figli mi guidi, ora che le storpie ginocchia non mi reggon le membra?

Tollerabili tuttavia sarebbero queste maniere, se a coloro che studiano l’eloquenza spianassero il calle; ma quando costor si presentano al foro, altro non ne guadagnano, sia per l’ampollosità delle idee, sia per il voto rumor delle voci, che di credersi trasportati in un mondo nuovo. Io stimo perciò che i fanciulli divengano stoltissimi nelle scuole, perchè nessuna di quelle cose, che sono in uso tra noi, veggono essi o ascoltano, ma