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72 | capitolo quindicesimo |
guarderò nel pubblico come si guarda ad un topo, anzi pure ad una tartufola. Che io più non mi mova nè di qua, nè di là, se io non involgo il tuo padrone in una foglia di ruta: nè perdonerò a te, quand’anche, perdio, invocassi Giove olimpico. Io farò ben in modo che ti sia rasa codesta zazzera che pare una bieta, e che tu perda quel tuo padron da un quattrino. Oh mi capiterai sotto i denti; e o non sarò io, o tu certo non riderai, quand’anche avessi la barba d’oro.69 Farò che la befana perseguiti te, e chi primo ti ha sì bene educato. Io non istudiai nè Geometria, nè Critica, nè codest’altre buffonerie, ma intendomi di Lapidaria, e sciolgo cento difficoltà sul danaro, sul peso, sulla moneta, sui conti. Se nulla vuoi, così tra noi due, io sono pronto a scommettere, o fantasma.
Benchè io non sappia di Rettorica, ben ti so dire, che il padre tuo consumò i suoi salarj. Nessuno, vedi, è da me assai distante, perchè io arrivo lontano. Lascia un po’ ch’io ti chiegga, chi di noi due faccia più strada senza pur moversi dal suo posto, e chi parer voglia il più grande, e sia piccino. Tu corri, tu ti maravigli, tu ti affanni come un topo nell’orinale. Taciti adunque, o non molestare il più forte, il qual non sa pure se tu sei nato, a meno che tu non creda, che io m’inchini a quegli anelli di paglia,70 che hai rubato alla tua druda. Mercurio ci aiuti!71 Andiamo ora in piazza a prender danari a mutuo. Là vedrai il credito. Questa è bene la bella cosa, o volpaccia da fosso! Così possa io arricchire e morir contento! Ma il popolo giurerà la mia morte, se io non ti avrò messa in cento pezzi la veste. La bella cosa, che è costui che t’insegna; egli è non maestro, ma mosto.72 Noi sì che imparammo: Il maestro dicea: questi sono i vostri doveri, salutare, andar a casa addirittura, non ingiuriare i maggiori, e non fermarsi a contar le botteghe. Ciò non ostante, nessun si approfitta. Quant’ a me, ringrazio gli Iddii di