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1 dicembre 1806, che ci parve altresì inutile, ma lasciammo intera la sua prefazione, la quale con vivacità e chiarezza dà ragguaglio dell’idee del suo tempo sulla satira di quell’epicureo, che morì come uno stoico, e si vendicò di Nerone con spirito mandandogli forse in questo libro medesimo il racconto delle sue occulte lascivie.
Forsechè il perdono di colpa e pena non si può concedere ai versi, come alla prosa del Lancetti, massime che egli scriveva sotto il regno di Monti e Foscolo, re doppi, come a Sparta e discordi come tutti i re doppi. Ma, sommato tutto, crediamo che questo suo tradurre piaccia più che non quello del Cesari, sì puro e talora a detto dei fiorentini sì improprio; a detto di tutti sì caricato che sarebbe parso un pedante anche a Firenze nel cinquecento.