Pagina:Satire (Persio).djvu/119


113

intendimento assai volte e Livio e Properzio ed altri del miglior secolo. Della stessa natura sono le parole impotens che or significa impotente or prepotente, egelidus che vale egualmente gelido e tepido, sperare in senso di temere; così infractus, edurum, enode; e di tutte vedi i molti e limpidi esempi riportati dal Forcellini. La lingua italiana che in qualità di figlia primogenita della latina si adorna mirabilmente di tutte le materne vaghezze, essa pure va ricca di non pochi vocaboli della stessa indole. Sperar peggio, sperare sterilità, disse il Villani; insperati mali usò leggiadramente il Rezzonico, ed ebbe certo di mira l’insperatum nec opinatum malum di Cicerone; e l’Ariosto c. 13 del Fur. :

Io porterò del mio parlar supplizio,
     Perchè a colui, che qui m’ha chiusa, spero
     Che costei ne darà subito indizio.


Così fortuna, posto assolutamente, tanto vale la buona che la mala ventura; così odor di letame disse il Boccaccio; così mille volte niente e nulla in vece di qualche cosa, e niuno e nullo in vece d’alcuno. Di più alcuno in luogo di niuno, come l’aucun francese, si ha per moltissimi esempi e del Novelliere Antico, e dello stesso Boccaccio nel Decamerone, e di Dante sì nel Convivio che nella Cantica dell’inferno per ben due volte. Ed una la notò pel primo il P. Lombardi al verso 9, canto i:

Al piano è si la roccia discoscesa,
Che alcuna via darebbe a chi su fosse.


Ma l’altra al v. 43, c. 3, non l’ha osservata nè il Lombardi, nè verun altro commentatore:

Cacciarli i ciel per non esser men belli,
Nè lo profondo inferno li riceve,
Chè alcuna gloria i rei avrebber d’elli.


Se alcuna non si prende qui pure in senso di niuna, la bellezza del concetto è tradita; e basta por mente a ciò che conseguita per rimanerne convinti. Dante parla qui de’ poltroni: dice che la lor vita è tanto bassa, che invidiosi son d’ogni altra sorte, cioè anche della sorte de’ reprobi; dice che misericordia e giustizia li sdegna, dice che sono a Dio spiacenti ed a’ nemici sui, dice in somma che nè pure i dannati li vogliono in compagnìa, tanto son vili e sprezzati e abborriti. Dopo ciò non è egli aperta contraddizione il dirli atti a recar qualche gloria? e a chi poi? a chi li detesta e rifiuta. Ma alcuna