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lxviii prefazione

giudicò la Divina Commedia un libro presso a poco come Indovinala Grillo; lo dicano infine le spiritose insulsaggini ultimamente indirizzate dalle rive della Senna alla tomba testè chiusa di chi scrisse il Cinque Maggio e i Promessi Sposi. Gli accusatori più acerbi di Giovenale furono il La Harpe, il Rollin, l’abate Batteux, il Levissac, il Nisard, e lo stesso Boileau: al quale se il Poeta romano ritogliesse tutto quello che costui gli rubò per farsene bello ne’ suoi scritti, molte delle sue Satire resterebbero quasi come la cornacchia della favola, dopo che gli uccelli l’ebbero spogliata delle loro penne variopinte. Non tacerò per altro, a onore del vero e della Francia, che di là onde mossero le più forti accuse, vennero al gran Satirico anco le più strenue difese: e qui mi è grato di ricordare i nomi del Dussaulx, dell’Achaintre, di V. Fabre di Narbona, e di Augusto Widall oggi professore della facoltà di lettere a Besançon; il quale da più anni va lavorando con molta lode intorno ai classici greci e latini, e ultimamente dava fuori un bel libro di studj letterari e morali sulle Satire del Nostro.

Le accuse contro Giovenale, parte riguardano la sostanza, parte la forma delle sue Satire. Rispetto alla prima affermano, che guidato più dalla collera che dal sentimento dell’onestà e della giustizia, ha spinto troppo innanzi l’acrimonia della satira, dipingendo il suo secolo con colori troppo tetri, e denigrando uomini e cose: nel