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Fuggite omai, pensier nojosi e foschi,
Che fatto avete a me sì lunga sera;
Ch’io vo’ cercar le apriche e liete piagge,
Prendendo in su l’erbette un dolce souno;
Perchè so ben ch’uom mai fatto di terra
Più felice di me non vide il sole.
Canzon, di sera in Oriente il sole
Vedrai, e me sotterra ai regni foschi,
Prima che ’n queste piagge io prenda sonno.


ANNOTAZIONI

all’Egloga Settima.


Come notturno uccel ec. Giacchè non ci occorre notare nulla per la intelligenza di questa sestina, sufficientemente chiara a chiunque la legga, ne diremo alcuna cosa in genere. Le sestine furono usate dal principe de’ poeti Italiani, Dante Alighieri, e dal Petrarca; e ad imitazione di quest’ultimo può dirsi, che il nostro Sanazzaro, componesse la presente. Non ostante la dolce sorpresa di udire in fin del verso replicate di continuo in ogni parte di esse le medesime parole, adatte ad esprimere differenti pensieri, egli è da confessarsi, che non sono i componimenti, che più piacciano al maggior numero degli amatori delle Muse. E che questo sia il vero, non parmi debole prova il vedere, che a poco a poco le sestine sono andate in disuso. Quando però alcuno amasse di scriverne, osservi due cose. Una che nelle migliori degli eccellenti poeti, quantunque talvolta vi si esprima la vita tranquilla e beata, d’ordinario però vi si dipingono le umane afflittive passioni, e i tristi accidenti della fortuna, con copia di allegorie, di metafore, e di comparazioni convenienti. L’altra, che l’ultime voci de’ versi voglien essere piuttosto nomi che verbi, piuttosto sostantivi che aggettivi. Non si può negare, che Dante nella sestina che comincia:


Al poco giorno, ed al gran cerchio d’ombra,


ha l’aggettivo verde, in fin di verso; che il Petrarca in quella:


Mia benigna fortuna, e ’l viver lieto,


termina egli pure un verso coll’aggettivo lieto, che in questa