Pagina:Saggio di canti popolari veronesi.djvu/23


— xxiii —


Il di lei parlare è quindi molto diverso da quello che Dante un giorno accusava insieme al veneziano di essere talmente di vocaboli ed accenti irsuto ed ispido, che per la sua rozza asperità non solamente disconza una donna che parli ma ancora fa dubitare, s’ella è uomo.1.

Talvolta in esso le parole, comunque suonino italianamente, ànno significato diverso da quello che loro attribuisce la lingua scritta comune; molte di loro derivano dal latino e dal greco; parecchie ma non tante sono corruzioni francesi, pochissime e quasi nessuna di origine tedesca sebbene la provincia sieda al piè della Rezìa e siasi tanto spesso trovata a contatto coi popoli del norde. Il dialetto Veronese non adopera il xe del veneto, ed i più frequenti scambi di suono delle lettere sono in esso quello dell’e in a ed in i, del t in d, del c in z, della z in s, del g in j e viceversa: quasi di ogni parola à la desinenza tronca e la piana che adopera promiscuamente, ma più spesso la piana, mentre sovente impiega la sincope quando sarebbe permessa anche dalla lingua scritta comune; ommette finalmente l’accenno di ogni lettera doppia. Il dialetto del contado, specialmente montano, varia un poco da quello della città così nella qualità e significato delle voci, come nel modo di pronunziarle, serbando meno corrotto il carattere primitivo2. La similianza grandissima che il dialetto Veronese à colla lingua scritta comune, ed il difetto quindi di una impronta decisa furono cagione che la sua letteratura sia povera affatto, e che tutti coloro che si provarono usarlo scrivendo caddero



  1. Opera ed edizione citate = lib. I. = cap. XIV pag. 75.
  2. Verona e sua provincia, per Carlo Belviglieri = XVI = I distretti del Veronese, pag. 625-626. = Nel Vol. IV della Grande Illustrazione del Regno Lombardo-Veneto, per cura di Cesare Cantù ed altri letterali = Milano, presso Corona e Calmi editori, 1859. Il chiarissimo Alessandro Torri, in una lettera diretti all’illustre Avvocato Luigi Fornaciari di Lucca, che fa parte dei commenti all’opera sopracitata Della volgare eloquenza di Dante Alighieri (libro I = cap. XIII = pag. 70-71) nota come il dialetto di Verona conformasi a quello di Lucca non solo in alcune voci, ma ben anco nel pronunciare con consonante semplice le parole che la vogliono doppia, e la S per E o Z. Egli vorrebbe originata questa comunanza di parole e di pronunzia fin da quando gli Scaligeri estesero fino a Lucca il loro dominio duratovi per oltre trenta anni. Io credo per altro che se quell’accidente può avervi contribuito, la sua causa prima debba risiedere in circostanze ben più vitali ed intrinseche.