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238 la tempesta


Ar. In nulla obbliai il voler vostro. Assalii, come avevate commesso, il vascello del re, e per tutto ingenerai terrore e spavento. Dividendo talvolta i miei fuochi, investii in pari tempo varii luoghi; e le mie fiamme splendendo sugli alberi della nave e sopra il ponte, finirono accomunandosi in un vorace incendio. Sì, Giove vibra meno rapidi i teli dall’alto1, che rapidi non iscorressero i turbini della vampa mia, che avventandosi in lucide colonne, imporporava i cerulei campi di Nettuno, facendo forse tremare il formidabile tridente nella mano di questo Dio.

Prosp. Valoroso spirito, e fu alcuno che in tanta tempesta conservasse placida la ragione?

Ar. Non uno, in cui il gelo della paura non penetrasse, e qualche immagine non offrisse di disperazione. Tutti, tranne i marinai, gettaronsi nei flutti spumanti, tutti abbandonarono l’incendiata nave. Il figlio del re, Ferdinando, coi capelli ritti sulla testa, quasi canne ispidissime, scagliossi per primo gridando: L’inferno è deserto; tutti i demoni vennero qui.

Prosp. E vero ei diceva, mio spirito; ma non eravate vicini alla sponda?

Ar. Sì, mio signore.

Prosp. Tutti dunque si salvarono?

Ar. Alcuno non perì. Approdati in quest’isola, qui li dispersi, come m’imponesti, e il figlio del re sta scompagnato da tutti, e geme solo in un angolo alpestre.

Prosp. E dei marinai che ne facesti? che del vascello?

Ar. Il vascello è in salvo entro quella baia romita, dove tu una volta mi chiamasti perchè andassi a far tesoro di rugiade nelle Bermude2 tempestose. I marinai giacciono sparsi sulla rada, invasati in un sonno profondo, frutto della fatica e de’ miei incanti. Rispetto al resto del naviglio, esso se ne riede tristamente a Napoli, convinto d’aver assistito al naufragio del re.

Prosp. Bene adempisti il mio comando; ma ti aspettano nuove fatiche. A qual’ora è il dì?

Ar. Oltre la metà sua.

  1. Ad attenuare l’Impressione spiacevole che recar potesse quest’amalgama di Divinità, varranno i versi di Dante:

    . . . . . . . . o sommo Giove,
    Che fosti ’n terra per noi crocifisso.

  2. Smith, nella sua relazione, dice che quelle isole erano così temute dai naviganti, che molti le chiamavano le isole diaboliche. In fatti sono attorniate di scogli latenti sott’acqua, e poste in un clima soggetto al nembi più terribili.