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dubbî intorno a questa moneta, la quale intralcia tutti i dati più sicuri che si hanno intorno alla storia delle nostre zecche del Medio Evo, e i suoi dubbî giungevano sino a porre in discussione l’autenticità di queste monete.
Sul primo punto sono perfettamente d’accordo coll’A.; non così sul secondo. I tre ambrosini o fiorini d’oro della I Repubblica Milanese, che si conoscono, e che sono tutti di conio differente, portano, a mio parere, le caratteristiche di una autenticità indiscutibile, e il loro tipo è ben diverso da quello di rozze imitazioni comparse in questi ultimi anni, e dalle quali, per mezzo della Rivista (V. Rivista It. di Numismatica, a. 1896, pag. 503-504), furono messi in guardia i raccoglitori. L’essere pochi non mi pare una ragione per contestarne l’autenticità. Vi sono molte monete uniche, ma universalmente riconosciute per genuine.
Non vedo poi perchè non si potesse popolarmente denominare ambrosini queste monete, dal momento che vi è effigiato S. Ambrogio, sia pure accompagnato dagli altri due santi Gervaso e Protaso. Il santo principale, il protettore di Milano, era sempre il primo; e questo infatti vi è rappresentato da un lato, al posto d’onore, in una nicchia. Del resto non sarebbe questo l’unico caso del genere: il popolo usò talvolta dare a delle monete talune sue denominazioni, desunte, non già dalla parte o figura principale in esse effigiate, ma da qualche particolare di minima importanza, che vi figurava. Per limitarmi ad un solo esempio, citerò il famoso Stellino di Cosimo I de’ Medici.
Può darsi benissimo, come osservò il Promis, e come ammetterebbe anche l’A., che questi tre ambrosini, o fiorini d’oro, siano prove di zecca di una moneta, che poi non fu effettivamente battuta; ma questa ipotesi va basata, non già sullo scarso numero degli esemplari trovati, ma piuttosto sulle ragioni storiche, le quali fanno apparir strana l’esistenza di queste monete. Accade però non di rado che i monumenti scoperti sembrano a prima vista in contraddizione con ciò che a noi consta secondo la scienza; ma poi se ne trova la ragione: il monumento è riconosciuto autentico, e la scienza è costretta a modificare i suoi postulati.
La seconda parte del lavoro dell’Ambrosoli tratta un’altra