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56 vincenzo capobianchi

delle origini del Senato, il marco romano avrebbe dovuto trovarsi corrispondente all’odierno peso di grammi 214, 15866 (due terze parti della libra romana di grammi 321, 238)1. per questo motivo, marchi 82 e mezzo a quel peso avrebbero dovuto pareggiare chilogrammi 17,6680 d’argento fine, che divisi per le suddette cifre darebbero i seguenti quozienti di peso che rappresenterebbero il valore intrinseco contenuto in ciascun denaro, cioè:


Denaro pavese gr. 1,10390
Denaro prov. vecchio (uguale al lucchese afforz.) 0,49118
Denaro provisino del Senato 0,35693

Il denaro pavese della dote di Porpora avrebbe valso adunque in nostra odierna moneta, apprezzando l’argento a lire 222 al chilogrammo, come il nostro

  1. V. Capobianchi, Pesi proporzionali desunti dai documenti della libra romana, merovingia e di Carlo Magno, in Rivista Italiana di Numismatica. Anno V, fasc. I, 1892, p. 106. Noi abbiamo ivi ritenuto che all’VIII secolo la libra romana avesse potuto avere il peso effettivo di grammi 321, 238, non solo per le ragioni ivi addotte, ma ancora perchè questo peso ci era stato dato ugualmente da un raro Exagium in bronzo di libra romana del IX secolo di perfetta conservazione, posseduto dall’illustre archeologo romano cav. Costantino Corvisieri (Nota 49): “Questo Exagium della libra romana, del quale riproducemmo il disegno nella nostra tav. dimostrativa n. 1, ha forma rotonda e due lati piani. Sopra un lato alla foggia dei denari carolini del IX secolo, è incisa in giro la leggenda † leo . nemr . men .; nel campo vedonsi scanalature concentriche nel cui mezzo sta una piccola appendice. Eccetto il nome proprio leo e la parola abbreviata men che deve significare mensura, il rimanente è di oscura interpretazione. Questo Exagium rende il peso di grammi 321,250. Pur nondimeno il significato probabile della suddetta leggenda potrebbe ben essere il seguente: † leo . n[onvm] e[xagivm] m[onetae] r[omanae] . men[svrae] In una carta dell’anno 1044 dell’arch. del mon. dei SS. Cosma e Damiano di Roma si ha “accepi in argento mensuratas libras denariorum numero sex boni et obtimi «. Nel R. Arch. di Stato di Roma.