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344 | giovanni mulazzani |
umano sapere, ogni arte, e l’antica nostra civiltà si trovarono spenti, successero alla dominazione de’ Carolingi. In un fascio per la rozzezza loro comune, sono da porsi tutti i parti dell’officina nostra, dal I° Berengario re (888) alla metà del 1300. Appartengono a questa barbara classificazione i conii degli imperatori e re d’Italia italiani, borgognoni, provenzali, e dopo la conquista alemannica, quelli degli Ottoni, dei cinque Arrighi, di Corrado il Salico, di Federico I e di suo figlio, Enrico VI. I nostri soldi repubblicani similmente della metà del 1200, e principio del 1300, non che massime li primi viscontei del 1330 e 1339, sebbene mostrino una finezza e lucidezza insieme d’intaglio che piace, ed anzi sorprende, ritraggono tosto l’occhio alla vista di quei loro inanimati e storpi sant’Ambrogi, e di altri deformi nostri SS. Patroni, sospesi in aria contro natura.
Ma finalmente trascorsa la metà del secolo XIV, il buon gusto che rinato era in Italia, per opera di quei genii immortali di Dante, Petrarca, Boccaccio e Giotto, comparisce negli stampi dei due fratelli Bernabò e Galeazzo Visconti, signori di Milano nel 1354. Lo testimoniano i loro grossi fabbricati a Milano, e molto più in Pavia, dei quali abbiamo già rilevato i pregi al Capo VIII, a cui mi appello ad evitare le ripetizioni; bastando dire che sono incisioni tali da far meravigliare a vederle, per l’età in cui comparvero, superando esse le produzioni coeve delle arti loro sorelle, della pittura e scultura. Così pure, a sfuggire la noia dei racconti già fatti, passerò sopra il rimanente evo visconteo e sui primordi sforzeschi, nei quali si mantennero bensì le migliorie del 1300, ma il genio non progredì gran fatto, quando nominar non si voglia il ritratto, che perduto o quasi nei secoli bassi, fu introdotto di nuovo nel 1402 dal