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vale a dire nell’epoca stessa in cui erano stati innalzati a Selinunte il tempio di Giove, in Atene, il Partenone, in Olimpia il tempio di Giove, in Figalia quello di Apollo, in Argo quello di Giunone; epoca in cui l’architettura dorica era giunta alla perfezione, e fioriva in tutte le contrade elleniche. Gli Agrigentini avevano portato quasi a compimento quell’edificio colossale, più non mancava che il tetto; se non che per la guerra dei Cartaginesi e per la distruzione della città, avvenuta nel 406, rimase l’Olimpio incompleto. Imilcone lo saccheggiò, e sebbene nell’interno i barbari Africani tutto lo devastassero, e sfogassero la loro rabbia contro tutte le sculture e gli ornati, non fu loro possibile per la vastità e per la grande robustezza di quella mole, atterrarlo. Fu dessa protetta puranco dal carattere della stessa sua architettura, imperocchè non aveva punto un peristilio con colonne isolate, ma era circondato da mura, nelle quali le colonne si trovavano per metà incassate. Polibio trovò lo stupendo edificio tuttora in piedi, e tale si mantenne durante il medio evo, rovinando poco alla volta per le intemperie, per i terremoti, per la rabbia dei Saraceni e dei barbari, i quali ne asportavano le pietre per valersene in nuove costruzioni, finchè nel dì 9 dicembre 1401, gli ultimi avanzi rovinarono a terra. Ci viene ciò attestato da Fazello, il quale può dirsi avere scoperto di nuovo quel grandioso edificio, il cui nome e la località stessa erano venuti scomparendo dalla memoria del popolo. «Ad onta, dice desso che coll’andare del tempo il rimanente dell’edificio fosse caduto in rovina, si mantenne ancora a lungo una parte sostenuta da tre giganti, e da alcune colonne. Rimane di questa memoria tuttora presso gli Agrigentini, i quali la introdussero nelle loro armi, Se non che, per la loro incuria anche questi ultimi avanzi caddero a terra il 9 dicembre 1401.» Un poeta contemporaneo fece menzione di tal rovina, nei seguenti versi leonini.