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scorge Don Giovanni mezzo nudo, incatenato, con i cappelli irti, steso a terra e tormentato da alcuni diavoli, ministri della inquisizione infernale. Il dannato grida: «Sono mille anni già che qui soffro! Non havvi proprio più salvezza?» Ed i diavoli dietro la scena urlano. «Nessuna! nessuna!» Cala il sipario. Tale si è la riduzione del Don Giovanni ad uso del popolo. Dessa non mira che all’effetto morale; tutta l’allegria e lo spirito sono scomparsi, ed il Ravanello è diventato una figura insignificantissima, imperocchè prima della metà del dramma, cessano i frizzi pronunciati in principio.

Sapevamo che in questo teatro Emiliani si rappresentano pure di quando in quando tragedie, e non ci siamo voluti privare del piacere di assistere alla recita della più commovente forse fra le tragedie italiane, la Francesca da Rimini. Il rinomato episodio Dantesco non ha ispirato soltanto pittori ma ancora poeti, parecchi dei quali tentarono portarlo sulle scene, se non che poco si prestò all’effetto drammatico. Byron stesso dice nel suo giornale che aveva avuto in pensiero di togliere Francesca da Rimini ad argomento di una tragedia. E da lamentarsi non lo abbia fatto; imperocchè quando anche non avesse prodotta un’opera adatta all’essere rappresentata, egli era tal poeta da scrivere cosa stupenda. La semplicità grande dell’azione, rende malagevole lo sviluppo drammatico, e richiederebbe un gran poeta, il quale sentisse e sapesse parlare il linguaggio delle passioni. Silvio Pellico fu l’unico che fino ad un certo punto vi sia riuscito. Nella sua Francesca da Rimini l’azione si svolge bene; è naturale i caratteri sono nobili e ben disegnati; è buona tragedia, tuttochè non sia grande l’effetto drammatico. Dessa è ritenuta opera classica in Italia, e viene rappresentata di continuo nei grandi come nei piccoli teatri. In questi giorni era rappresentata contemporaneamente qui in Roma su due scene, al teatro Valle quale fu scritta, ed in quello Emiliano, ridotta a parodia.

Rechiamoci a quest’ultimo. Gli attori vi recitano in