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DELL'INGEGNERE MILANI 283

principale delle locomotive, stanziata in Venezia, verrebbe intercetta dalla circolazione. E tutto questo perché sarebbe «immensa e ruinosa spesa» (§133) quella di fare in capo al ponte lungo un’ultima piazza più grande di tutte. Chi vi ha detto che sia necessario darle proprio 70 mila metri di superficie? Chi vi ha detto di collocare proprio in quel luogo la manifattura delle locomotive ed altri simili inciampi? Perché non collocarle alla larga, nella stazione di Mestre, fuori delle fortezze e dei ponti levatoj? Chi vi ha detto che sia poi «bisogno d’uno sciame di barche grandi e piccole per tradurre i viaggiatori dalla stazione in isola a Venezia?» Poiché lo volete, fatevi pure un qualunque siasi ponte levatojo per le persone, e anche per le merci; ma ciò non porta che si debba frapporre sul passaggio necessario e continuo dei tráini quel perfido trabocchetto, che da mattina a sera può interrompere e confondere ogni cosa.

Noi ci siamo lagnati del cattivo impianto dell’Officio Tecnico; ci siamo lagnati che le scarse linee di livellazione non si erano connesse con alcuna cura, e soprattutto non si erano ribattute; e quindi non vi si poteva fare assegnamento. E in prova del fatto citavamo un grave errore, un salto di quattro e più metri, nel punto più controverso e importante di tutta la linea, cioè in quello della diramazione per Bergamo. Al fatto delle livellazioni non ribattute, il sig. Milani non risponde nulla, nemmeno una piccola mentita; ed era la colpa più grave, perchè colpa di massima, che toglie fede a tutta la livellazione, e quindi a tutti i calcoli di cubatura e di superficie e a tutti i sistemi di ponte. E se è vero che «gl’ingegneri possono commettere errori di livellazione senza per questo cessare d’essere dotti, abili, diligenti» (§ 363): noi diremo che non sono nè abilidiligenti gl’ingegneri in capo che guidano con tanta incuria l’operazione più fondamentale, e che, mentre sprecano il tempo a citare a sproposito l’Inferno di Dante, «soffrono delle distrazioni, se si tratta di cose nojose e di numeri, come appunto è l’affare delle livellazioni» (§ 363.) Al fatto poi del salto di Treviglio egli, invece d’una mentita, fa un’umilissima ricevuta: «Nel ridurre in iscala piccola i profili di livellazione per poterli comprendere nella stampa delle tavole del progetto, si copiò sopra l’orizontale della diramazione di Bergamo,