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il nome dell’Imperatore, e fossero destinati a crescerne l’idolatrico culto. Tra questi monumenti pubblici prese il suo posto anche l’Augusteum, del quale ho qui intrapreso di mostrare l’esistenza, e di determinarne la fabbrica.

Io dico adunque, che l’edifizio detto finora tempio di Quirino sia stato invece un Augusteum: e ne prendo le prove dall’ara, che vi è collocata nel mezzo. Essa è pubblicata nel vol. VI. a tav. LVII. del R. Museo Borbonico; ivi pure se ne legge la interpretazione data dal ch. sig. Cav. Finati. Nella fronte si vede scolpito un sacrifizio di un toro: e già il sacerdote pone l’incenso sul fuoco, ove si consumano le offerte, intanto che il ministro col maglio s’avvanza, tenendo per la fune la vittima. Or se un sacrifizio hostiae maioris ci potrebbe condurre il pensiero ad un Giove (v. il Marini Fr. Arv. p. 46), ad un Apollo (Plut. Marcel. cf. Homeri Il. 1,40, Virg. Aen. 161, 119), ad un Nettuno (Virg. l. c.), e che so io: la parte opposta dell’ara per buona ventura ci toglie d’imbarazzo, determinando ottimamente l’alto personaggio a cui si prepara questo sacrifizio. Di chi sia simbolo la corona di quercia fra due lauri udiamolo da Ovidio (Metam. 1, 562) che dice:

Postibus augustis eadem fidissima custos
Ante fores stabis, mediamque tuebere quercum.

(cf. Ovid. IV Fast, 953, Trist. III, 1. 39, Plin. H. N. XV, 30): e Dione scrive: καὶ γὰρ τότε τὰς δάφνας πρὸ τῶν βασιλείων ἀυτοῦ προτίθεσται, καὶ τὸ τὸν στέφανον τὸν δρύινον ὑπὲρ αὑτῶν ἁρτᾶσθαι ἐψηφίσθη