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me ne tornai all’Ariccia. E quivi fui lasciato in pace. E, veramente, la Polizia Pontificia non avrebbe avuto alcun giusto motivo di occuparsi di me e delle cose mie. Ben di rado mi si vedeva in Roma; ogni mia attività era volta alla pittura.

Con l’anno 1859 tornarono a rinverdirsi tutte le speranze degli Italiani. Il discorso di re Vittorio a capo d’anno in cui si diceva «non insensibile al grido di dolore....», le parole colle quali, nella stessa occasione, l’Imperatore dei Francesi si era rivolto all’ambasciatore d’Austria, diceano abbastanza. D’altra parte, Checchetelli e tanti altri nostri fuorusciti non mancavano di far certi del significato di quelle, mediante messaggi e stampati volanti, tutti i liberali degli Stati Pontifici.

Era la guerra!...

Era la gran riscossa dopo che le speranze italiane, dieci anni innanzi, eran cadute infrante su i campi di Novara. Ricominciava la lotta contro la storica nemica delle libertà italiane. Ma con ben altri auspici di dieci anni prima!...

Giovine Re ed ardimentoso e deciso, con al fianco un Primo Ministro accorto e sagace; e, sopratutto, gli Italiani dalla sconfitta fatti più savi e concordi e con l’ausilio delle alleate armi di Francia, ci facevano sicuri che la gran partita questa volta si sarebbe vinta.

Quanti di noi Romani avevamo orientato verso il Piemonte e Vittorio Emanuele gli animi dei nostri concittadini, avemmo allora molta ragione di compiacimento per la decisione presa, già da alcuni anni, di abbandonar Mazzini ed il suo programma repubblicano.

Riandando ora, a tanta distanza di tempo, gli avvenimenti del ’49 bisogna per forza riconoscere come non poco concorressero a farli precipitar rovinosi per gli Italiani Mazzini ed i suoi seguaci. Tante volte, dopo di allora, mi son domandato, fra l’altro, come Mazzini potesse sul serio pretendere che l’infelice Carlo Alberto accogliesse con fiducia i suoi incitamenti di condurre risolutamente ed a fondo la guerra contro lo stra-