Pagina:Quel che vidi e quel che intesi.djvu/110


— 64 —

volea mandare ad ordinare ai medici che raggiungessero i loto posti negli ospedali. Io, però, lo pregai di farmi rimanere per il primo assalto non essendoci ancora feriti.

Frattanto arrivarono i garibaldini ed alcune compagnie della legione di Manara. Sortirono dalla porta e si schierarono sotto il Vascello, in attesa delle munizioni che vennero portate su di un muletto. Distribuite queste, subito di corsa si lanciarono all’assalto del casino dei Quattro Venti. Cominciò un fuoco d’inferno; si sentivano grida di tripudio, di scherno, di dolore, 1 nostri presero il casino.

Portai la lieta notizia dentro Roma, mentre facevo il giro per assicurar il servizio di medici e chirurghi negli ospedali. Più presto che mi fu possibile tornai a San Pancrazio. Purtroppo il casino dei Quattro Venti era stato ripreso dai Francesi.

Essendo io molto amico di Alessandro Calandrelli, il quale comandava una batteria alla destra della porta San Pancrazio, egli mi domandò di rimaner con lui per aiutarlo. Intanto arrivava fra noi don Michelangelo Caetani che en amateur veniva a godersi la battaglia. Questo accadeva sotto il sole di giugno tanto sensibilmente bruciante.


Avvenne che un tenente dei garibaldini, rivolto al Calandrelli, insultasse i Romani. Calandrelli furibondo gli si fece addosso per colpirlo; venne fermato in tempo. Ma l’ira sua fu tanta da farlo uscir di mente; ebbe proprio un vero colpo di pazzia. Io, allora, lo presi e mi rinserrai con lui in una camera della torre di San Pancrazio.

Quando vidi che punto contradicendolo ed anzi secondandolo in tutto la sua demenza verbale s’era ben ben sfogata, lo lasciai un momento solo. E, tornando a lui, gli dissi che i suoi artiglieri si battevano da leoni e che domandavano di rivedere il loro Alessandro.

Il rumore della battaglia, le affettuose acclamazioni dei suoi artiglieri lo fecero del tutto rinsavire e calmo tornar alla sua batteria. Forse sarebbe ricaduto nella sua esaltazione se una