54 Quand’io da Montalban feci partita,
Io fui a Parigi, dond’io vengo adesso:
La corte pare una cosa smarrita,
Lo ’mperador non pareva più desso:
Vedovo il regno, e la gente stordita.
Gli orecchi debbon cornarvi qua spesso33,
Ch’ognun ragiona della vostra fama,
E ’l popol tutto ad un grido vi chiama.
55 Il mio signor con gran disio v’aspetta:
Parigi, e Francia, ogni cosa si duole.
Or vi vo’ dire una mia novelletta,
Chè spesso la ragion l’esemplo vuole.
Un tratto a spasso anco la formichetta
Andò pel mondo, come far si suole,
E trovò infine un teschio di cavallo,
E semplicetta cominciò a cercallo.
56 Quand’ella giunse ove il cervello stava,
Questa gli parve una stanza sì bella,
Che nel suo cor tutta si rallegrava;
E dicea seco questa meschinella:
Qualche signor per certo ci abitava;
Ma finalmente, cercando ogni cella,
Non vi trovava da mangiar niente,
E di sua impresa alla fine si pente.
57 E ritornossi nel suo bucolino.
Perdonimi, s’io fallo, chi m’ascolta,
E intenda il mio vulgar col suo latino:
Io vo’ che a me crediate questa volta,
E ritorniate al vostro car cugino,
Se non ch’ogni speranza gli fia tolta;
Disse, che mai a lui non ritornassi,
Se meco in Francia non vi rimenassi.
58 Il grande amor mi sforza a quel ch’i’ dico:
Riconoscete e gli amici, e’ parenti;
L’andar così pel mondo è pure ostico34.
Orlando udendo i suo’ ragionamenti,
Disse: Chimento, tu se’ buono amico;
E gittò fuor molti sospir dolenti:
E da costui al fin s’accomiatava,
Sanza altro dir; chè piangendo n’andava.