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canto decimosesto. 347

112 E così lamentando, capitoe
     A Babillona per molte contrade;
     Essendo presso, un Pagan riscontroe,
     E domandollo di quella cittade;
     Onde il Pagan ridendo lo beffoe,
     Quando lo vide così in povertade:
     Tu hai gli spron, dicea, dove è il ronzino?
     Tu ’l debbi aver giucato pel cammino.

113 Donde Rinaldo s’adirò con quello,
     Disse: Per Dio, tu pagherai lo scotto;
     Prese la briglia, e colui pel mantello,
     E disse: Io vo’ l’alfana che tu hai sotto,
     E serba tu gli spron, ribaldo e fello:
     Poi trasse fuor Frusberta, e non fe motto,
     E dèttegli un rovescio alla francesca,
     Che lo tagliò pel mezzo alla turchesca.

114 Morto costui, innanzi gli venia
     Un altro che parea buona persona;
     Disse Rinaldo: Dimmi, in cortesia,
     Questa città com’ella si ragiona?20
     Colui rispose sanza villania:
     Sappi che questa è la gran Babillona,
     E Babillona si chiama maggiore,
     E ’l Soldan dell’Amecche21 n’è signore.

115 Ed ecci una figliuola del Soldano
     Che molto afflitta mena la sua vita,
     Ed èssi innamorata d’un Cristiano,
     E duolsi che nol vide alla partita:
     Sento ch’egli è non so che Montalbano;
     Tant’è che, per lui par tutta smarrita,
     E tutta solitaria è fatta questa,
     Che solea la città tener già in festa.

116 Ora io t’ho detto più che non domandi:
     S’altro tu vuoi da me, chiedi tu stesso,
     Ch’io il farò volentier pur che comandi,
     Chè certo un uom gentil mi par da presso.
     Disse Rinaldo: Troppo me ne mandi
     Contento, se ’l tuo nome mi di’ adesso.
     Dicea il Pagan: Sia fatto e volentieri
     Ciò che tu vuoi; chiamato son Gualtieri.