58 E ’l marin tordo, ’l bottaccio, e ’l sassello,
La merla nera e la merla acquaiuola,
Poi la tordella, e ’l frusone, e ’l fanello,
E il lusignuol c’ha sì dolce la gola;
Il zigolo, il bravieri, e ’l montanello,
Avelia, e capitorza, e sepaiuola,
Pincione, e niteragno, e pettirosso,
Il raperugiol che mai intender posso.
59 Quivi era calandra, e ’l calderino
Il monaco, che è tutto rosso e nero,
E ’l calenzuol dorato, e il lucherino
E l’ortolano; e ’l beccafico vero,
Insino al re delle siepe piccino,
La cingallegra, il luì, il capinero,
Pispola, codirosso, e codilungo,
E uno uccel che suol beccare il fungo.
60 Rondoni e balestrucci eran per l’aria;
Poi in altra parte si vedea soletta
La passera penserosa e solitaria,
Che sol con seco starsi si diletta,
A tutte l’altre nature contraria:
Evvi il cuculio con sua malizietta,
Che mette l’uova sue drento alla buca
Della sua balia, che è detta curuca.
61 Il pipistrello faceva stran volo;
E degli uccei notturni sbandeggiati
L’allocco, il barbagianni, e l’assiuolo,
Civetta, e gufo, e gli altri sventurati:
Non ne mancava al padiglione un solo,
Di que’ che fur nell’arca numerati:
Ultimamente v’è il cameleone,
Bench’alcun dice vi fussi il grifone.
62 Vedeasi in mezzo rilucente e bella
Nella sua sedia Giunon coronata,
E Deiopeia12 e l’altre intorno a quella,
E molto dalle ninfe era onorata.
Eol parea che tentassi procella,
E che picchiassi la porta serrata,
E Noto ed Aquilon già fuori usciéno,
Ed Orion d’ogni tempesta pieno.