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canto decimoterzo. 275

48 E dismontati al palazzo reale,
     Marsilio sempre tenne per la mana
     Rinaldo per le scale e per le sale.
     La sua figliuola, detta Luciana,
     Ch’ogni altra di bellezza assai prevale,
     Fecesi incontro benigna ed umana,
     E salutò Marsilio e’ suoi compagni
     Con atti onesti e graziosi e magni.

49 Nè prima questa Rinaldo vedea,
     Che si sentì da uno stral nel core
     Esser ferito, e con seco dicea:
     Ben m’hai condotto dove vuoi, Amore,
     A Siragozza a veder questa Iddea,
     Che più che ’l Sol m’abbaglia di splendore.
     E rispondeva al suo gentil saluto
     Quel che gli parve che fussi dovuto.

50 Quivi alcun giorni dimorâr contenti;
     Non domandar se Cupido galoppa
     Di qua di là con suoi nuovi argomenti;
     E la fanciulla serviva di coppa:9
     Rinaldo sempre ebbe gli occhi lucenti,
     Alcuna volta con essi rintoppa:
     Or questo è quel che come zolfo o esca
     Il foco par che rinnalzi ed accresca.

51 Mentre che sono in tal consolazione,
     Un messaggiero al re Marsilio venne
     E gettasegli in terra ginocchione,
     E dice come un gran caso intervenne;
     Che morti ha cinquecento e più persone
     Un gran caval co’ denti e colle penne,
     Ch’era sfrenato, e fu già di Gisberto,
     E pareva un demòne in un deserto.

52 Noi savam cinquecento cavalieri,
     Diceva il messo e giunti alla montagna,
     Fumo assaliti da questo destrieri;
     Non si potea fuggir per la campagna;
     Missesi in mezzo fra’ tuoi cavalieri:
     Non fu mai lupo arrabbiato nè cagna,
     Che così morda, e divori, ed attosche,
     Nè anco i calci suoi paion di mosche.