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canto decimoterzo. 273

38 Rinaldo alla visiera pose a quello,
     E fece fuor balzar tante faville,
     Che tante mai non ne fe Mongibello;
     Are’ quel colpo gittati giù mille;
     L’elmo rimbomba, e ’ntronava il cervello;
     E sanza fare al testo altre postille,
     Marsilio rovinò giù dell’arcione,
     E fu pur sogno il suo, non visione.

39 E disse: Dimmi, per la tua leanza,
     Chi tu se’, cavalier, per cortesia,
     Chè mai più vidi ad uom7 tanta possanza.
     Disse Rinaldo: Per la testa mia,
     Io tel dirò, perch’io non ho dottanza,8
     Non guarderò s’io sono in Pagania;
     Sarà quel ch’esser può, franco Pagano,
     Sappi che ’l signor son da Montalbano.

40 Ed alzò la visiera dell’elmetto,
     Per dimostrar che non avea paura;
     Disse il Pagano allor: Per Macometto,
     Ogni suo sforzo in te mostrò natura.
     Dicea Rinaldo: E questo è Ricciardetto;
     Andiam cercando la nostra ventura;
     Questo è Terigi d’Orlando scudieri,
     E questo è il nostro famoso Ulivieri.

41 Marsilio guarda questi compagnoni;
     Disse: Voi siete così travisati,
     Voi mi pareste quattro ragazzoni;
     Non vi conobbi, in modo siete armati:
     Ben posson sicuri ir questi campioni;
     E’ ci sarà degli altri arreticati,
     Che rimarranno a questa rete, stimo:
     Dimmi s’io son, Rinaldo, stato il primo.

42 Disse Rinaldo: Il primo per mia fe’,
     Da poi che tu domandi, io ti rispondo;
     E stato è buon principio un tanto re;
     Ma qualcun altro ancor sarà il secondo:
     Or se tu vuoi il caval ch’io non ti die’,
     Perchè tanto il tuo nome suona al mondo
     Io tel darò, magnanima corona;
     E poi soggiunse: E l’arme e la persona.