4 Quand’io varai la mia barchetta,4 prima
Per ubbidir5 chi sempre ubbidir debbe
La mente, e faticarsi in prosa e in rima,
E del mio Carlo imperador m’increbbe;
Che so quanti la penna ha posto in cima,
Che tutti la sua gloria prevarrebbe:
È stata questa istoria6 , a quel ch’ i’ veggio,
Di Carlo male intesa, e scritta peggio.
5 Diceva già Lionardo Aretino,
Che s’egli avessi avuto scrittor degno,7
Com’ egli ebbe un Ormanno il suo Pipino,
Ch’avessi diligenzia avuto e ingegno;
Sarebbe Carlo Magno un uom divino,
Però ch’egli ebbe gran vittorie e regno,
E fece per la Chiesa8 e per la Fede
Certo assai più che non si dice, o crede.
6 Guardisi ancora a San Liberatore,
Quella badia là presso a Menappello
Giù nell’Abruzzi fatta per suo onore,
Dove fu la battaglia e ’l gran flagello
D’un re pagan, che Carlo imperadore
Uccise, e tanto del suo popol fello;
E vedesi tante ossa, e tanti il sanno,
Che tante in Giosaffà non ne verranno.
7 Ma il mondo cieco e ignorante non prezza
Le sue virtù, com’io vorrei vedere:
E tu, Fiorenzia9, della sua grandezza
Possiedi, e sempre potrai possedere
Ogni costume ed ogni gentilezza,
Che si potessi acquistare o avere
Col senno, col tesoro, o colla lancia,
Dal nobil sangue venuto di Francia.
8 Dodici paladini aveva in corte
Carlo, e ’l più savio e famoso era Orlando;
Gan traditor lo condusse alla morte
In Roncisvalle, un trattato ordinando;
Là dove il corno sonò tanto forte
Dopo la dolorosa rotta, quando
Nella sua Commedia Dante qui dice10,
E mettelo con Carlo in ciel felice.