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canto quinto. 93

39 Egli avea il capo, che parea d’un orso,
     Piloso e fiero; e’ denti come zanne,
     Da spiccar netto d’ogni pietra un morso;
     La lingua tutta scagliosa, e le canne;
     Un occhio avea nel petto a mezzo il torso
     Ch’era di fuoco, e largo ben due spanne;
     La barba tutta arricciata e’ capegli:
     Gli orecchi parean d’asino a vedegli12.

40 Le braccia lunghe setolute e strane,
     E ’l petto e ’l corpo piloso era tutto;
     Avea gli unghion ne’ piedi e nelle mane,
     Chè non portava i zoccol per l’asciutto13,
     Ma ignudo e scalzo, abbaia com’un cane;
     Mai non si vide un mostro così brutto:
     E in man portava un gran baston di sorbo
     Tutto arsicciato, nero com’un corbo.

41 Questo una buca sotterra avea fatto,
     E sopra quella forato un gran masso:
     Quivi si stava e nascondeva il matto:
     Verso la strada avea forato il sasso,
     E per un bucolin traea di piatto,
     E molta gente saettava al passo:
     Facea degli uomin micidial governo,
     E chiamat’era il mostro dall’inferno.

42 Rinaldo, quando apparir lo vedia,
     Diceva a Ulivieri: Hai tu veduto
     Costui, che certo la versiera fia?
     Disse Ulivier: Iddio ci sia in aiuto,
     Credo più tosto sia la Befania14,
     O Belzebù che ci sarà venuto.
     Guardava il petto e la terribil faccia,
     E ’l baston lungo più di dieci braccia.

43 Quest’animal venìa gridando forte,
     E come l’orso adirato co’ cani,
     Ispezza e’ rami e’ pruni, e le ritorte
     Con quel baston, co’ piedi e colle mani.
     Disse Dodon: Sare’ questa la Morte,
     Che ci assalissi in questi boschi strani?
     Se tu riguardi, Rinaldo, i vestigi,
     De’ compagnon mi par di Malagigi.