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canto quinto. 89

19 E dicea: Lasso, quanto fui contento
     Quel dì che morta l’aspra fera vidi,
     Ed or tanto dolor nel mio cor sento:
     E così vuogli, Amor, così mi guidi?
     Ogni dolcezza volta m’ha’ in tormento:
     O mondo, tu non vuoi che in te mi fidi:
     Lasciato m’hai, o misera fortuna,
     Afflitto vecchio e sanza speme alcuna.

20 Fece il sepulcro a modo de’ Cristiani,
     E missevi la bella Forisena,
     E lettere intagliò colle sue mani,
     Come fu liberata d’ogni pena
     Da tre baron di paesi lontani;
     E come a morte il suo distin la mena
     Pur finalmente, come piacque a Amore,
     Nel dipartirsi il suo caro amadore.

21 Non si può tor quel che ’l ciel pur destina:
     Il mondo col suo dolce ha sempre amaro;
     Questa fanciulla così peregrina
     Il troppo amare al fin gli costa caro.
     Ed Ulivier pe’ boschetti cammina,
     E non sa quel che gli sare’ discaro,
     E chiama Forisena notte e giorno.
     E in questo modo più di cavalcorno.

22 Un giorno in un crocicchio d’un burrone
     Hanno trovato un vecchio molto strano,
     Tutto smarrito, pien d’afflizione,
     Non parea bestia, e non pareva umano:
     Rinaldo gli venía compassione:
     Chi fia costui? fra sè diceva piano;
     Vedea la barba arruffata e canuta,
     Raccapricciossi, e dappresso il saluta.

23 E’ gli rispose facendo gran pianto,
     Per modo ch’a Rinaldo ne ’ncrescea:
     Per la bontà dello Spirito Santo,
     Abbi pietà della mia vita rea;
     Uscir di questo bosco non mi vanto,
     Se non m’aiuti (e del tristo facea5);
     Lasciami un poco in sul cavallo andare,
     Per quell’Iddio che ti può ristorare.