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anima, operando il contrario di quello comandava a sè stesso nel suo dolore il disingannato Catullo:


Et quod vides perisse perditum ducas.


So bene che a rendere considerabili queste minute notizie, a rendere importante negli occhi dell’universale la storia delle varie fasi sotto le quali si mostrò più o meno splendente un ingegno, è mestieri di una gran fama; ma so ancora che v’è una parte di storia intellettuale di cui vanamente si cercherebbero vestigii nei farraginosi repertorii letterarii, onde inorgoglisce la nazione, e bene spesso impara a poltrire; e siffatta parte di storia poter tornare non meno utile di quei repertorii, chi volesse scriverla con ingenuità e con fervore non ineguali al soggetto.

Ove poi fosse taluno cui sembrasse sì scarso il merito del Pezzoli, e l’ingegno suo così tenue da non meritare nè manco un tale esame, non saprei come meglio rispondere, che con rivolgermi a quella patria, cui mi reco ad onore di aver avuto comune col caro defunto, e rallegrarmi con essa del tanto tesoro di lettere e della tanta copia di letterati, onde venne privilegiata, per modo che il passare di un uomo qual fu il Pezzoli potesse essere con poco o nessuno scapito della sua gloria, e non più che come lo spegnersi di poca favilla ove riluce gran fiamma.