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Quale trasformazione nel concetto che l’uomo aveva di sè stesso e del mondo! Non più egli è il centro della creazione, il re degli animali: ben lo è sulla terra, ma chi può dirgli se in altri mondi più potenti energie si manifestino in esseri dotati di intelligenza superiore? Ricordo, o signori, il verso terribile di Pope, a proposito di tali esseri ipotetici:
And schew’d a Newton as we shew an ape1.
Più soavemente, con quella tersa e sconsolata poesia che rispecchia il dolore di un’anima grande, impaurita dal tremendo mistero della vita umana e de’ suoi destini, cantava il nostro Leopardi dalle falde del Vesuvio:
Sovente in queste piaggie,
Che, desolate, a bruno
Veste il flutto indurato, e par che ondeggi,
Seggo la notte; e su la mesta landa
In purissimo azzurro
Veggo dall’alto fiammeggiar le stelle,
Cui di lontan fa specchio
Il mare, e tutto di scintille in giro
Per lo vôto seren brillare il mondo.
E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
Ch’a lor sembrano un punto,
E sono immense in guisa
Che un punto a petto lor son terra e mare
Veramente; a cui
- ↑ E si mostravano un Newton, come noi ci mostriamo una scimmia.