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ne ha merito e gloria il nostro Schiaparelli) a riconoscere la disgregazione delle comete come origine degli sciami di stelle cadenti. Dopo tutto questo, a quale scopo e Brooks e Denning e Barnard e Swift e tanti altri continuano a sciupare le loro notti, esplorando se dalle profondità inaccessibili dello spazio alcune di queste pellegrine del cielo giungano a rendersi visibili nei nostri potenti cannocchiali? A che giova che la più insignificante di tali scoperte sia annunziata per telegrafo a tutto il mondo, come si trattasse del parto felice di una delle tante principesse tedesche? Perchè cinquanta astronomi in Europa, in America, in Australia, seguono la più piccola delle comete telescopiche per tutto il tempo in cui essa rimane visibile, e con lunghe e pazienti misure ne fissano di sera in sera la posizione? Perchè altri astronomi, eroi della trigonometria e delle tavole logaritmiche, alcuni dei quali, come il von Asten, non hanno mai curato di guardare il cielo attraverso il tubo di un cannocchiale, raccolgono le osservazioni, le confrontano, le discutono, ne deducono con calcoli laboriosi il cammino apparente della cometa fra le stelle del firmamento e la traiettoria reale entro il sistema solare?

Piazzi, Olbers, Harding, Encke hanno colmato la lacuna che esisteva nel nostro sistema fra Marte e Giove, trovando che ivi si aggirano parecchi pianeti troppo piccoli per essere visibili ad occhio nudo: Gauss ha insegnato in un’opera immortale la teoria del loro movimento; altri osservatori hanno aumentato il numero di questi corpi da noi conosciuti. Ora sono 410, e continuamente se ne scoprono, sopratutto dopo l’applicazione della fotografia alla loro ricerca, iniziata dal professore Max Wolf di Heidelberga. È presumi-